venerdì 25 febbraio 2011
Yanez de Gomera
Livio Belli
L'India di Salgari: trucchi ed espedienti di un maestro dell'avventura
Leggere Salgari è un po' come fare il giro del mondo; si toccano tutti i continenti, spaziando dall'Europa all'Africa, dalle Americhe all'Asia, arrivando anche ai due Poli.
Si salta di qua e di là in giro per il globo, affrontando ora il freddo polare, ora il caldo e la sete del deserto africano; si incontrano i leoni dell'Algeria e le tigri dell'India, per finire poi in pieno far-West, tra praterie sconfinate, mandrie interminabili di bufali e pellirosse alla ricerca di scalpi da esibire come trofei.
Il Continente Misterioso, 1894, Illustrazioni di G.Carpanetto
E' possibile arrivare anche fino all'Oceania, nota all'epoca di Salgari in modo abbastanza superficiale. Il titolo del romanzo Salgariano Il continente misterioso (1894) riflette le scarse e frammentarie conoscenze dell'epoca su tale regione.
La cosa che fa più meraviglia è che ogni volta, indipendentemente dalla trama del racconto e dal luogo in cui questo è ambientato, il lettore si sente immerso nel paesaggio, addirittura scaraventato nel mezzo dell'azione, come se fosse uno dei personaggi, pronto a vivere anche lui le eroiche avventure narrate dall'autore.
Questo é frutto di una attenta programmazione e di una strabiliante capacità descrittiva. Come ormai assodato, Salgari non viaggiò per il mondo limitandosi a navigare, in gioventù, lungo l'Adriatico e raggiungendo, come località più remota, la città di Brindisi.
Era la continua e assidua lettura di riviste geografiche, enciclopedie, libri di storia, di costume, di religione e di viaggi che gli permetteva di descrivere i luoghi con precisione.
Se andiamo a vedere le ambientazioni geografiche dobbiamo concludere che la parte del leone spetta all'Asia, con quasi trenta titoli. Regina indiscussa è quella regione che all'epoca di Salgari era ancora chiamata India britannica e che comprendeva, oltre agli attuali stati di India e Pakistan, anche l'isola dello Sri Lanka, all'epoca denominata Ceylon, e le isole Andamane e Nicobare.
La Perla Sanguinosa, 1905, Copertina di Alberto Della Valle
La parte dell'Oceano Indiano ad est della penisola Indiana, compreso tra gli arcipelaghi delle isole Nicobare e Andamane, è teatro dell'azione de Il capitano della Djumna (1897) e della prima parte de La perla sanguinosa (1905).
In quest'ultimo romanzo, per liberare l'amata Juga, il protagonista Palicur, pescatore di perle, deve recuperare una perla dai meravigliosi riflessi rossastri rubata a una statua di Buddha nel monastero di Annarodgburro, nell'isola di Ceylon, e finita in fondo al mare nei pressi del banco perlifero di Manaar.
Solo restituendola ai monaci di quel monastero potrà riabbracciare la promessa sposa, rapita per essere consacrata a Buddha.
In quest'opera Salgari mescola avventure marinaresche, pullulanti di tremendi mostri marini e "moderne" attrezzature subacquee, con vicende legate ad aspetti più tipicamente Indiani come la descrizione della vita e delle abitudini dei monaci buddisti, della jungla popolata di feroci felini e insidiosi serpenti. Il libro è ambientato tra i negritos delle Nicobare e i Vadassi di Ceylon, popolazioni primitive, ben lontane dalle immagini dei fieri e cavallereschi guerrieri Indiani protagonisti di altri romanzi.
Le vicende si concludono nell'isola di Ceylon dove regna il mondo, meno noto, dei pescatori di perle e delle loro pericolose immersioni nelle acque del golfo di Manaar, infestate dai pescecani. Pur essendo Ceylon territorio Indiano, per Salgari è soprattutto un'isola a sé dove dominano il mare ed i suoi pescatori. Per visitare l'India "autentica", combattere le tigri, aprirsi la strada nell'intricata jungla sfuggendo ai più velenosi e silenziosi rettili, per incontrare giocolieri e fachiri insensibili al fuoco e al dolore, dobbiamo leggere i romanzi ambientati nel continente Indiano.
La Montagna di Luce, 1902, Copertina di Gennaro Amato
Già il numero dei romanzi del Ciclo Indiano , ben sette, fa capire l'importanza dell'India all'interno della produzione Salgariana. Inoltre essi appartengono tutti al ciclo più famoso, quello che vede come protagonisti Sandokan, Yanez, Tremal-Naik e Kammammuri1. L'unica eccezione è La Montagna di Luce.
Quest'ultimo può essere considerato il più Indiano tra i romanzi Salgariani, ambientato com'è nell'India centrale dove, nel 1843, l'influenza inglese non era ancora del tutto consolidata.
Non vi sono gli squadrati quartieri della Città Bianca di Calcutta da descrivere, ma solo l'India misteriosa ed ammaliatrice, con i suoi incantatori di serpenti, le feste e le processioni in cui può capitare di vedere penitenti appesi ad acuminati ganci; fachiri che si fanno sotterrare vivi; gli abili e spietati banditi di strada detti dacoit; i nuki-kakussi , ovvero lottatori che si affrontano con mortali punte di ferro applicate alle dita...
Il tutto ruota intorno ad un gigantesco diamante (il Koh-i-Noor o Montagna di Luce) realmente esistito e oggi custodito nel Tesoro della Corona Inglese. Salgari, seguito da molti altri scrittori nonché da una serie interminabile di film, esalta enormemente il tema dei favolosi tesori che dall'India giungevano in Europa e nel resto del mondo. E' così che l'India con le sue spezie, i suoi diamanti, il legno profumato del sandalo l'avorio dei suoi elefanti diventa, più di ogni altra regione del mondo, un regno di fiabesche ricchezze.
Ma partiamo dall'inizio. L'incontro tra Salgari e l'India avviene prestissimo. La prima opera che se ne occupa è Gli strangolatori del Gange, apparsa a puntate in appendice sul quotidiano Il Telefono di Livorno nel 1887 (dal 10 gennaio al 15 aprile per complessive 77 puntate). Il titolo probabilmente non dice molto, se non agli addetti ai lavori.
Si tratta infatti del prototipo de I misteri della giungla nera (1895), apparso per la prima volta in volume solo nel 1994 (Torino, Viglongo). Già nelle prime righe del romanzo Salgari ci porta nell'India misteriosa ed affascinate:
"Il Gange, questo famoso fiume celebrato dagli Indiani antichi e moderni, le cui acque son reputate sacre da quei popoli, dopo d'aver solcato le nevose montagne del Keutaisse e le ricche provincie del Sirinagoi, di Delhi, di Oelhe, di Bhar e di Bengala, a duecentoventi miglia dal mare dividesi in due bracci formando un delta gigantesco, intricato, meraviglioso e forse unico."
Sono fin dall'inizio descritti scenari esotici, popolati da tigri e serpenti, in cui giganteschi banian dalle mille radici aeree formano «una foresta sostenuta da centinaia e centinaia di bizzarri colonnati, sotto i quali i sacerdoti di Brahma collocano i loro idoli»; quei colossali vegetali costituiscono il misterioso nascondiglio dei thug, gli strangolatori dal laccio infallibile.
I protagonisti non sono azzimati ufficiali europei con linde uniformi e modi gentili ed educati, bensì un Indiano dall'aspetto semiselvaggio, Tremal Naik, che ha come fido compagno d'avventure un fiero maharatto, Kammamuri, e come alleati un cane ed una tigre addomesticata.
Già in questo primo romanzo la descrizione dello sfondo su cui agiscono i personaggi è minuziosa. Salgari dispone di molte fonti accurate e si muove quindi con disinvoltura tra templi e jungle, thug e baiadere. Descrive paesaggi, templi, pagode, fauna e flora con accuratezza e ci immerge risolutamente in un mondo misterioso e pieno di promesse.
Come detto Gli strangolatori del Gange è la prima versione del famoso I misteri della jungla nera che appare per la prima volta in volume nel 18952, con profonde modifiche rispetto al prototipo. La variante principale si rintraccia nella conclusione: Tremal-Naik non uccide il capitano Macpherson, padre della donna che ama, Ada, ma si unisce a lui per sconfiggere i thug.
Risale al 1903 una ulteriore versione in cui Salgari, per adeguare il proprio romanzo alla lunghezza standard di una nuova collana dell'editore Donath, aggiunse otto capitoli consecutivi nella seconda parte.
Si tratta di capitoli ricchissimi di riferimenti esotici. Ad una vicenda concitata si aggiunge infatti una approfondita descrizione dell'ambiente Indiano.
Ecco allora la colorata e caratteristica festa dei serpenti; le pagode irte di straordinarie statue raffiguranti elefanti oppure esseri mostruosi metà uomo e metà leone o nani dall'aspetto ora benevolo ora minaccioso; ecco legioni di fachiri dall'aspetto orribile e rivoltante, dalle abitudini e caratteristiche incredibili e così lontane dai canoni europei soprattutto dell'epoca. «Di alcuni si dice che non mangino mai, ma solo in pubblico», commenta sarcastico Salgari, «perché a casa è tutt'altra questione». Altri saccheggiano i giardini; i saniassi poi sono "più ladroni che santoni", per arrivare a coloro che, per ragioni misteriose, si distinguono avendo una sola basetta ed indossando una sola scarpa. In India si può incontrare veramente di tutto!
Ci sono poi i Sapwallah, gli incantatori di serpenti, con i Tomril, i flauti che sembrano magici da come ammaliano rettili dal morso mortale; si ode nell'aria il suono di strumenti di ogni genere, che accompagna Tremal-Naik nel corso delle sue avventure nella città di Calcutta, e il lettore è portato a perdersi in questa magica atmosfera.
Nei nuovi capitoli, inoltre, Salgari modifica la scena in cui Tremal-Naik e il vecchio thug Moh incontrano Hider in una taverna. I tre prendono accordi per uccidere il capitano Macpherson, e Tremal-Nayk ignora di congiurare per l'uccisione del padre dell'amata Ada. La circostanza è fondamentale, nell'accorta trama romanzesca che tanto deve al feuilleton!
Nella versione del 1895, il dialogo che si svolge è il seguente:
- Ordina, inviato di Kâlì, - disse con voce tremante. (è Hider che parla) - Conosci il capitano Macpherson? - Forse più di te. - Sai dove conduce la fregata?
Nelle edizioni più recenti della versione con gli otto capitoli in più, ad esempio Vallardi del 1959, il dialogo tra i personaggi è così modificato:
"Sono ai tuoi ordini, inviato di Kalì" (è Hider che parla)
"Siedi ed ascolta" disse Tremal-Naik. "Tu conosci il capitano Macpherson?"
"Il padre della ....." cominciò Hider, ma il vecchio thug subito lo interruppe, aggrottando la fronte e indicando Tremal-Naik.
Hider comprese al volo. "Il capitano Macpherson?" disse con disinvoltura. "Lo conosco forse meglio di chiunque altro"
"Sai dove sia?..." chiese ansiosamente Tremal-Naik, che non si era accorto di nulla
E tutto torna, non ci sono problemi in quanto Hider viene fermato in tempo, prima di svelare il segreto.
Invece l'edizione originaria del 1903 si presentava così:
"Sono ai tuoi ordini, inviato di Kalì" (è Hider che parla) "Siedi ed ascolta" disse Tremal-Naik. "Tu conosci il capitano Macpherson?" "Il padre della "Vergine della Pagoda"!...Lo conosco forse meglio di tutti. "Sai dove sia?..."
La differenza non è davvero di poco conto!! Infatti Tremal-Naik, complice un distrattissimo Salgari, otteneva l'unica rivelazione... che non doveva ottenere, salvo compromettere seriamente la trama! Non si conosce, d'altra parte, l'anno in cui fu apportata al testo la provvidenziale rettifica del dialogo.
Sempre in queste pagine, aggiunte successivamente, compare uno dei personaggi Indiani che più resta impresso al lettore. Si tratta dell'affascinante figura del fachiro dal braccio anchilosato, che ha fatto della propria mano il vaso per una pianta di mirto sacro, impegnato ad aiutare Tremal Naik nell'impresa di rintracciare ed uccidere il capitano Macpherson.
Nimpor, questo il nome del fachiro, è un personaggio che non può non impressionare il lettore, in quanto immagine vivente di un mondo dove l'inaudito diventa prassi comune.
Salgari lo introduce così:
"Moh salì la spaziosa gradinata che conduceva nell'entrata della pagoda e si fermò dinanzi ad un Indiano, che stava seduto sull'ultimo gradino, dicendo a Tremal-Naik ed a Hider: "Ecco il fakiro". Nel vederlo, Tremal-Naik non aveva saputo frenare un gesto di ribrezzo. Quel miserabile Indiano, quella vittima del fanatismo religioso e della superstizione Indiana, faceva davvero orrore.
Era, più che un uomo, uno scheletro. Il suo volto incartapecorito, era coperto da una barba, fitta, incolta, che gli giungeva sotto la cintura, e coperto di bizzarri tatuaggi rossi e neri raffiguranti per lo più bene o male dei serpentelli, mentre la sua fronte era impiastricciata di cenere. I suoi capelli del pari lunghissimi e che forse mai avevano conosciuto l'uso dei pettini e delle forbici, formavano come una specie di criniera, pullulante certo d'insetti. Il corpo, spaventosamente magro, era quasi nudo, non portando che un piccolo perizoma largo appena quattro dita. Quello però che destava ribrezzo, era il braccio sinistro.
Alla conquista di un impero, 1907, Copertina di Alberto Della Valle
Quel membro, ridotto a pelle ed ossa, rimaneva costantemente alzato né potevasi più abbassare essendo ormai disseccato ed anchilosato. Nella mano, strettamente legata, con delle corregge e chiusa in modo da formare un recipiente, il fanatico aveva deposta della terra piantandovi un piccolo mirto sacro, il quale a poco a poco era cresciuto come se si trovasse in un vaso. Le unghie non potendo trovare sfogo, eransi dapprima incurvate, poi avevano trapassata la mano ed ora uscivano, come artigli di bestia feroce, attraverso il palmo."
Salgari fu molto colpito da questo personaggio, al punto che lo ripropose pari pari (cambia solo il nome) nel romanzo Alla conquista di un impero (1907). Ne aveva letto la descrizione effettuata dal viaggiatore francese Louis Rousselet in L'India dei rajah (Milano, Treves,1877).
Se ne appropriò e lo fece diventare un personaggio romanzesco destinato a imprimersi nella memoria dei lettori.
E' proprio questa una delle caratteristiche della pagina Salgariana: grande libertà alla fantasia ma nell'ambito di un quadro ispirato alla realtà.
La citata opera del Rousselet, com'è noto, è una delle principali fonti Indiane del romanziere.Dalla lettura di quelle pagine derivano la descrizione della festa dei serpenti detta Naga-Pantciami3; la descrizione delle miniere di Pannah dove è stato rinvenuto il famoso diamante Koh-i-Noor e molte altre: ad esempio del gioco di prestigio in cui, tra lo stupore generale, un bambino entra in una cesta che viene trafitta con spade acuminate e ridotta a piccolo spessore a suon di bastonate, uscendone poi miracolosamente illeso e dei meriah, i sacrifici umani praticati ancora nell'Ottocento in alcune zone dell'India centrale, che animano e colorano il romanzo La Montagna di Luce.
Altra risaputa fonte per l'ambientazione Indiana dei libri di Salgari è la monumentale e didascalica opera Il costume antico e moderno o Storia del governo, della milizia, della religione, delle arti, scienze ed usanze di tutti i popoli antichi e moderni di Luigi Ferrario (i ventuno volumi della prima edizione furono pubblicati, a cura e spese dello stesso autore, tra il 1817 e il 1834).
Da qui è ripresa l'idea del banian che funge da nascondiglio ai thug; dalle stesse pagine Salgari trasse nozioni per quanto riguarda la pietra Salagraman sacra a Visnù; le differenti incarnazioni dello stesso Visnù oppure la festa in onore di Darma-Rajah, durante la quale schiere di credenti camminano senza subire alcun danno su un letto di carboni ardenti. Al lettore di oggi queste descrizioni religiose appaiono abbastanza familiari, ma ai tempi in cui Salgari operava evocavano visioni di un altrove inimmaginabile.
Il Giornale Illustrato dei viaggi e delle avventure per terra e per mare, Copertina
Tra le sue fonti Indiane note, si deve poi citare la rivista settimanale Il giornale illustrato dei viaggi e delle avventure per terra e per mare, edito dalla casa editrice Sonzogno a partire dal 1878. Fu anzi fonte insostituibile per la geografia, gli usi e i costumi di tutto l'universo Salgariano. Qui ci limiteremo a citare la storia della uccisione della famiglia di Surama , la futura consorte di Yanez e regina dell'Assam, da parte del crudele Sindhia e la descrizione delle incredibili performance dei ladri Indiani, capaci di rubare la coperta su cui il proprietario sta beatamente dormendo o di fingersi arbusti ingannando così gli eventuali inseguitori.
La Rivincita di Yanez, 1913, Copertina di Alberto Della Valle
Accanto a queste tre fonti principali è possibile porre numerosi altri testi. Si tratta di opere disponibili nelle biblioteche pubbliche frequentate dallo scrittore veronese e che trattano dei medesimi temi esotici dei suoi romanzi Indiani: thug, baiadere, fachiri, giungle, incantatori di serpenti, tigri addomesticate, sepoy ammutinati e rajaputi.
Tra questi, i romanzi di Louis Jacolliot4 e di Louis Boussenard5(quest'ultimo è ricordato dallo stesso Salgari). Oppure i resoconti di viaggio di Paolo Mantegazza6, Ferdinando De Lanoye7, Aristide Calani8 , Edoardo De Warren9.
La lista sarebbe lunga e probabilmente non esaustiva, se si considerano da un lato la quantità dei testi disponibili e dall'altro le non comuni potenzialità del Salgari lettore e consultatore.
Spendiamo però due parole sui debiti che Salgari ha con Ponson Du Terrail, l'inventore di Rocambole, l'eroe dalle avventure talmente straordinarie che l'aggettivo Rocambolesco è passato a indicare azioni portate a termine con tale astuzia e audacia da apparire incredibili.
Del lungo ciclo delle avventure di Rocambole un titolo salta subito agli occhi: Gli strangolatori. Ed infatti in esso sono protagonisti i thug, alfieri del male, contrapposti ai seguaci di Sivah. sostenitori del bene, con Rocambole che interviene al fianco di questi ultimi.
In questo romanzo, la cui prima traduzione in italiano è del 1874, per le edizioni Sonzogno, troviamo molte idee che poi saranno di Salgari. Oltre agli strangolatori con i loro lacci mortali e la dea Kalì dalla "bocca deforme fornita di denti colorati di rosso", troviamo infatti l'eroina condannata dagli stessi thug ad essere bruciata viva sul rogo, come Ada in I misteri della jungla nera, e persino un pesce azzurro, "che si trova soltanto nel Gange" e adorato dai thug, che ricorda il pesce mango cui Suyodhana chiede spesso consiglio ed ispirazione.
Ma un altro titolo della serie di Rocambole può essere preso in esame, e precisamente :Un dramma nell'India. I riferimenti sono anzi più numerosi e interessanti.
Il nome di uno dei personaggi principali è Kougli (Ed. Sonzogno, 1876, p. 47). Si tratta di
"un negro della costa occidentale, di quelli che sono più rossi che neri, e fanno pompa di tanta bellezza che le almee e le baiadere muoiono sovente d'amore per loro".
Costui non esita a farsi castrare per accedere come eunuco in un harem, al solo scopo di liberare la sposa promessa del suo padrone! QQuesto "martire" dell'abnegazione e della fedeltà colpì talmente Salgari da indurlo ad utilizzarne il nome, assegnato infatti a uno dei thug in Gli strangolatori del Gange.
Ma le corrispondenze non finisco qui. Vi si rintraccia infatti (pag.87) una delle trovate Salgariane più memorabili e cioè la limonata che scioglie la lingua:
"L'Indiano ferito stende sulla sua ferita un balsamo, il quale non è altra cosa fuorché il succo spremuto di una pianta che noi chiamiamo youma, parola che vuol dire lingua di serpente."
Passando alla pagina successiva, si legge infatti la descrizione degli effetti causati a chi ne beva:
"Il miscuglio del limone che rinfresca, dell'oppio che addormenta e dell'youma che cicatrizza le ferite, formano una bevanda la quale produce degli effetti singolari....... Colui che ne inghiotte mezzo bicchiere, non tarda a cadere in balia d'una specie di allegria febbrile, la quale si manifesta con una grande esuberanza di gesti e con intemperanza di parole. L'uomo più chiuso in sé, l'intelligenza più meditabonda non vi possono resistere. Per quanto profondamente un secreto sia sepolto nel fondo del cuore, il beveraggio di cui ti parlo lo fa salire sull'istante alle labbra."
Quindi abbiamo la descrizione della forma delle foglie della youma:
"E trasse, infatti, dalle sue larghe tasche un pugno di fogliuzze triangolari, che depose sulla tavola.",
per proseguire con le modalità di preparazione della misteriosa bevanda scioglilingua:
"Dieci minuti dopo, la fanciulla tornò con dei limoni. Allora Nadir li pose in un piccolo mortaio che serviva a pilare il riso e si trovava in casa, indi si pose a pestarli mescolando loro le foglie di youma ed il grano d'oppio, e versando lentamente nel mortaio un bicchier d'acqua. Vidi allora formarsi un bel liquore roseo, ch'egli versò in una tazza di cocco.
Per finire con la descrizione degli effetti che già conosciamo:
"Dopo aver bevuto, Hassan cadde in una specie di raccoglimento che assomigliava all'estasi. Poi, a poco a poco, il di lui viso s'imporporò, i di lui occhi cominciarono a brillare, e parole incoerenti gli uscirono dalle labbra."
Chi avesse voglia potrebbe facilmente verificare che in Gli strangolatori del Gange Salgari scrive di foglie "triangolari" della youma mentre le modalità di preparazione e gli effetti dopo la bevuta sono descritti praticamente in maniera identica.
Nella stessa opera ( pag. 73), Ponson Du Terrail descrive il manzanillo, l'albero la cui ombra può uccidere e che è ben noto ai lettori Salgariani; tratta di una donna condannata alla sati (pag.27), strappata alla orribile sorte da Rocambole ( anche questo è un episodio Salgariano) nonché di un povero sarto a cui, per strappare il segreto del luogo dove è nascosto un favoloso tesoro, vengono bruciati i piedi:
"I soldati, dietro ordine del loro capo, gli avevan denudato le gambe ed esponevano i suoi piedi alle fiamme del braciere che avevano acceso." (pag.84).
Facile ricordare la tortura a cui Kammamuri e Tremal-Naik sottopongono il thug di nome Manciadi per costringerlo a rivelare i segreti della sua setta.
C'è anche da ricordare, se ce ne fosse bisogno, che le pagine Indiane di Salgari sono ricolme di termini esotici, frutto di ricerche certosine. Il loro reiterato utilizzo ha lo scopo di creare un'atmosfera esotica e lontana. La parola nuova, sconosciuta, dal suono così diverso e strano, ha, come si sa, la funzione di trascinare in un mondo sconosciuto e di accrescere l'alone di mistero. Altro discorso riguarda gli svarioni: il problema, che nulla toglie alla musicalità seducente di quei termini, esiste e meriterebbe un approfondimento.
Le citazioni Salgariane sono talvolta errate. E spesso lo sono già le stesse fonti usate. Salgari ci ha messo del suo storpiando le proprie letture; inoltre aveva una grafia frettolosa, minuta, tale da trarre spesso in inganno tipografi e trascrittori, portati così ad aggiungere altri errori e storpiature.
Gli errori si sono poi moltiplicati insieme al successo editoriale, in modo che è possibile riscontrare refusi ed arbitrari interventi in edizioni successive.
In compenso Salgari ha saputo scegliere con cura i nomi dei protagonisti e degli antagonisti.
Ecco allora Tremal Naik, che è il nome della dinastia regnante nella città di Madurai nel sud dell'India; Suyodhana, nome del crudele capo dei thug, è il soprannome di uno dei personaggi principali del Mahabharata, una delle più importanti opere epiche a sfondo religioso dell'induismo; Darma, poi, è termine che indica l'insieme delle leggi spirituali che gli indù devono seguire.
A proposito del nome Darma, esso colpì talmente Salgari che lo utilizzò non solo per la fedele tigre compagna d'avventure di Tremal-Naik, ma, alla morte del felino, anche come nome della figlia dello stesso Tremal-Naik. E' questa una caratteristica di Salgari. Se un termine esotico lo colpiva in maniera particolare non esitava a riutilizzarlo.
Il Capitano della Djumna, 1897, Copertina di Giuseppe Gamba
Ad esempio Garrovi, in realtà il nome di una regione Indiana, è utilizzato in Gli strangolatori del Gange come nome di un thug e in Il capitano della Djumna come nome di un crudele fachiro.
E' anche da notare che Djumna, nome di una nave in Salgari, è in realtà il nome di un fiume sacro agli indù, mentre Manciadi è una unità di misura Indiana. Dhundia, il traditore in La Montagna di Luce, è il soprannome della dea Holica; Aghur, il compagno di Tremal-Naik che viene ucciso dai thug nelle prime pagine de I misteri della jungla nera, è parola Indiana che significa recinto; Bhagavadi, Tykora e Huka, nomi di personaggi de Gli strangolatori del Gange, indicano rispettivamente una moneta, un tamburo e una pipa Indiana; Sadras, nome del piccolo Indiano che aiuta Indri e Toby a recuperare il diamante La Montagna di Luce, è una famosa spiaggia nei pressi di Madras, nell'India del sud. E la lista potrebbe continuare a lungo.
L'accuratezza viene peraltro meno sul viale del tramonto, quando affanni e precarietà rendono affannosa la scrittura. La penosa circostanza è rilevabile prendendo in considerazione uno qualsiasi dei romanzi della trilogia finale del ciclo di Sandokan.
Si rintracciano ripetizioni dei termini già usati nelle precedenti opere e i nomi dei personaggi diminuiscono incredibilmente di numero.
Il Bramino dell'Assam, 1911, Copertina di Gennaro Amato
Mentre in Gli strangolatori del Gange si contano oltre trenta nomi di personaggi, in Il Bramino dell'Assam, che è del 1911, se ne contano una decina.
In quei romanzi molti personaggi, secondari o di rilievo, addirittura non hanno nome.
Si pensi ad esempio al "gigantesco rajaputo", così chiamato per tutto il libro; egli è l'unico uomo rimasto fedele a Surama e a Yanez, ma neppure questo è sufficiente a fargli assegnare un nome proprio. Anche il "figlio di Khampur", capo dei montanari fedeli a Surama, rimane sempre "il figlio di Khampur".
In La rivincita di Yanez termini Indiani e nomi dei protagonisti sono ulteriormente ridotti anche rispetto ai due titoli precedenti, ma qui occorre fare una precisazione.
Il romanzo (pubblicato postumo nel 1913) secondo varie fonti fu revisionato, su manoscritto forse incompiuto, dallo scrittore torinese Renzo Chiosso, e contiene un numero elevatissimo di inesattezze ed errori, anche macroscopici e grossolani, e di incongruenze. Una per tutte: Timul, "il cacciatore di piste", compare improvvisamente, insieme a Kammamuri e al gigantesco rajaputo, prigioniero dei banditi di Sindhia, l'usurpatore del trono di Surama. Non c'è nessuna spiegazione di come ciò sia stato possibile, ma solo:
"Come si trovasse lì anche lui, non lo abbiamo detto sopra per non ripetere una storia troppo simile a quella raccontata. Il lettore se ne sarà accorto da sé e non si meraviglierà se troverà qui Timul e gli altri, compreso lo strano sacerdote."
Invece il lettore si meraviglia e non poco, perché non è affatto abituato da Salgari a sviste di questa fatta.
Ma nonostante tutto ciò, anche nella trilogia finale l'India è protagonista indiscussa, con i suoi veleni (di cui ben tre ministri di Yanez rimangono vittime) e, soprattutto, i suoi straordinari e pittoreschi abitanti.
La caduta di un impero, 1911, Copertina di Gennaro Amato
E' leggendo Salgari, i suoi romanzi Indiani, che molti di noi hanno fatto conoscenza con la società e la cultura Indiana.
Grazie a Salgari molte parole Indiane sono entrate nel nostro vocabolario comune. Magari alcuni termini erano già noti in Italia ma solo con Salgari sono divenuti familiari ad un vasto pubblico.
E'infatti grazie allo scrittore veronese che un po' tutti sappiamo chi sono i thug, ci è familiare la parola fakiro, l'espressione dea Kalì ci fa comparire davanti agli occhi l'immagine di una divinità dalle molteplici braccia e dall'aspetto terrificante. Sappiamo che i sovrani Indiani, famosi per le loro ricchezze e le loro stravaganze si chiamano rajah, che le baiadere sono ballerine dalle danze conturbanti e che il ramsinga è una "lunga tromba formata da quattro tubi di sottilissimo metallo, il cui suono odesi da una gran distanza.", utilizzata dai thug per i loro messaggi cifrati.
La lettura di Salgari ha ampliato le nostre conoscenze ed il nostro vocabolario, facendo nascere un po' in tutti la curiosità di approfondire lo studio di un mondo così lontano, così diverso dal nostro, ma capace di far nascere interesse e passione.
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Note
1 I titoli sono I Misteri della jungla nera, Le due tigri, Alla conquista di un impero e la trilogia finale, composta da Il Bramino dell'Assam, La caduta di un impero e La rivincita di Yanez.
2 Edizioni Donath di Genova. Nel 1893 (21 Agosto - 8 Dicembre per 108 puntate) Gli strangolatori del Gange appare su "La Provincia di Vicenza" già con alcune modifiche rispetto alla prima versione di Livorno.
3 Sempre negli 8 capitolo aggiunti nella edizione del 1903 a I misteri della giungla nera
4 Tra i vari titoli citiamo Viaggio al paese delle baiadere (Edizioni Carrara di Milano - 1880), Il corridore delle jungle (apparso sul "Giornale Illustrato dei viaggi" tra il 1896 e il 1898) e Viaggio alla città dei morti e alle rovine di Golconda (Edizioni Carrara di Milano - 1879). Da ricordare poi l'opera Tre mesi sul Gange e sul Bramaputra edito nel 1881 per le edizioni G.Pavia e C. di Milano, a firma Madame L. Jacolliot., moglie dello scrittore francese. Per quanto riguarda questo autore, cfr: F. POZZO, Louis Jacolliot, il misterioso maestro di Salgari, in LG Argomenti, Genova, 2, 2005.
5 Di questo autore ricordiamo Gli Strangolatori del Bengala, apparso a puntate sulla rivista settimanale Giornale illustrato dei viaggie delle avventure per terra e per mare (Sonzogno, Milano) a partire dal numero dell'8 Febbraio 1900.
6 India - 1884 - Edizioni Treves Milano
7 L'India contemporanea- Scene dell'insurrezione del 1857 - 1858 - Edizioni Vallardi
8 Scene dell'insurrezione Indiana - 1858 - Edizioni Civelli
9 L'India inglese nel 1843 - 1845 - Società Editrice Fiorentina di Firenze
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