Carmine Bellezza

Carmine Bellezza
Funzionario al basso servizio del paese

mercoledì 26 gennaio 2011

1922 Depero

Rientrato dalla guerra si prepara per una mostra del 1916. Le opere di Depero, seppur influenzate da Giacomo Balla, danno maggior rilievo alla pulsione plastica. Inizia inoltre a comporre canzoni "rumoriste" e poesie "onomalinguistiche".[1] Nel 1916 Umberto Boccioni scrive di Depero sulla rivista "Gli Avvenimenti".

A fine anno conosce l'impresario dei famosi "Balletti Russi", Sergej Diaghilev, che ne visita lo studio assieme al pittore Michail Fedorovič Larionov e al coreografo e ballerino Léonide Massine e lo incarica di realizzare scene e costumi per "Il canto dell'usignolo", su musiche di Stravinsky, che però non saranno mai realizzati[1] perché Depero deve anche aiutare Picasso con i costumi di "Parade".
Nel 1917 incontra il poeta svizzero Gilbert Clavel, con il quale stringe un rapporto d'amicizia e di lavoro. Ospite della sua villa-torre a Capri, per Clavel Depero illustra un suo libro ("Un istituto per suicidi") con disegni a metà tra Futurismo ed Espressionismo. In seguito assieme a Clavel realizza il Teatro Plastico, cioè recitato da marionette, chiamato "Balli Plastici".[1] Lo spettacolo, pur andando in scena al Teatro dei Piccoli, a Roma (15 aprile 1918), sarà un'opera d’avanguardia, sia per l'innovazione dell'eliminazione degli attori-ballerini, sia per le musiche d'avanguardia composta da Béla Bartók, Gian Francesco Malipiero ed altri.
Sempre durante il soggiorno a Capri crea i suoi primi "arazzi" futuristi, in realtà mosaici di stoffe colorate. Sono, questi, il primo esempio della trasmigrazione delle sue invenzioni teatrali. I suoi automi e pupazzi diverranno, infatti, un leitmotiv, non solo sulle stoffe ma anche nei suoi dipinti, e tale motivo dominante andrà a delineare quello che oggi è possibile definire come "stile Depero".



Dopo l'esperienza teatrale Depero non rientrerà più nella via sperimentale ancora seguita da Balla, ma cambierà traiettoria rispetto alle formulazioni, sovente utopiche, proposte dalla "Ricostruzione futurista dell'universo". La Ricostruzione prevedeva il superamento della pittura e della scultura per «ridisegnare» e «riplasmare» in maniera futuristica ogni ambito del vivere umano. Tuttavia per Depero, persona pragmatica, questo programma era attuabile solo a patto che si prendessero in considerazione possibilità applicative reali e mercato. Non era possibile una Ricostruzione se si rimaneva ancora una volta chiusi in gallerie e musei o ci si limitava ad esercizi sperimentali. Per far arrivare l'idea futurista nella vita quotidiana delle persone era necessario servirsi delle arti applicate. Ed è proprio a partire da questa convinzione che nasceranno in Italia, a partire dal 1918, le cosiddette "Case d'Arte futuriste": a Roma quelle di Enrico Prampolini, di Carlo Ludovico Bragaglia, di Roberto Melli; a Bologna quella di Tato; a Palermo quella di Pippo Rizzo. E a Rovereto quella di Depero, che però vedrà la luce in ritardo rispetto alle altre a causa dei vari impegni dell'artista.

Dopo un soggiorno a Viareggio nel 1918, Depero espone a Milano nel 1919, alla Galleria Moretti, dove Filippo Tommaso Marinetti raduna il meglio del Futurismo del dopoguerra per rilanciare il movimento.

E dopo tanto tempo Depero fa ritorno anche a Rovereto, trovandola distrutta dalla guerra. Qui, nel 1919, vi fonda la propria Casa d'arte Futurista,[2] dove produrrà manifesti pubblicitari, mobili e altro che servirà per arredare la casa moderna. Depero è tuttavia attento a cimentarsi nella progettazione di oggetti che abbiano una reale utilità, oltre che caratterizzati esteticamente. Uno dei grandi problemi delle case d'arte futuriste, infatti, era che spesso uscivano da questi luoghi oggetti sì d'avaguardia ma inutilizzabili.

Sempre in questo periodo crea quadri di atmosfera metafisica, che dimostrano, ancora una volta, come Depero si attenesse più agli ideali futuristi che non allo stile del movimento.

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