Lasciata l'America in piena recessione economica, Depero rientra in Italia nel 1930 ed espone col gruppo futurista alla I quadriennale Nazionale d'Arte a Roma. Si trova però alle prese con un nuovo corso del Futurismo: l'Aeropittura.
Già l'anno precedente ne aveva sottoscritto il manifesto più per fedeltà nei confronti di Marinetti che non per una reale convinzione. Depero era una persona "coi piedi per terra", e per nulla affascinato da aeroplani e nuvole (e il volo del 1922 con Azari fu strumentale: serviva per fare réclame). Non solo, ma adesso il suo punto d'osservazione era paradossalmente più alto di quello raggiungibile con gli aeroplani futuristi: era stato nella città di Nuova York e aveva toccato con mano "quel" futuro solo vagheggiato e teorizzato dai Futuristi italiani. Edifici che sfioravano il cielo, grovigli di strade, vie sopraelevate e sotterranee: già tutto fatto. Purtroppo la sensazione che questa esperienza lascia in Depero non è quella della qualità "solare" e positiva della vita sognata dai Futuristi, quanto piuttosto quella di una sorta di "babele brulicante di cavallette". E sarà proprio questa disillusione che condurrà Depero, negli anni a venire, a rifugiarsi sempre di più nella concretezza e nei sani valori della natura. Ma questo cambiamento di rotta è tuttavia ravvisabile subito sia sul piano stilistico sia su quello tematico: progressivo abbandono dei colori caldi e della diagonalità a vantaggio dei colori freddi e dell'ortogonalità; progressivo abbandono di folletti e marionette a vantaggio di motivi e personaggi tratti dal folklore italico.
Nei primi anni trenta Depero lavora per vari giornali: "L'Illustrazione Italiana", "Il Secolo Illustrato", "Lo Sera".
Nel 1931 pubblica il "Manifesto dell’arte pubblicitaria" Futurista, già in bozze a New York nel 1929. Secondo Depero l'immagine pubblicitaria doveva essere veloce, sintetica, fascinatrice, con grandi campiture di colore a tinte piatte, per così poter aumentare la dinamicità della comunicazione.
Nel 1932 espone prima in una sala personale alla XVIII Biennale di Venezia, e poi alla V Triennale di Milano. A Rovereto pubblica una rivista della quale usciranno solo cinque numeri nel 1933: "Dinamo Futurista". In seguito, nel 1934, le "Liriche Radiofoniche", che declamerà anche all'EIAR (la Rai di allora). Nel 1933 partecipa alla Mostra di Plastica Murale di Genova e nel 1936 di nuovo alla Biennale di Venezia.
Di qui si ritira sempre di più nel Trentino. Le partecipazioni alle attività ufficiali (aero)futuriste si fanno sempre più rare: ciò comporta da un lato una sua progressiva emarginazione dal movimento, ma dall'altro a trasformarlo in una figura quasi leggendaria. Molti saranno i Futuristi di "terza generazione" ad andare in "pellegrinaggio" a Rovereto, per rendergli omaggio o per coinvolgerlo in qualche iniziativa. In ogni caso il suo isolamento lo porterà lontano anche da un'importante fonte d'introito: la pubblicità. Pubblicità che, per inciso, in quegli anni si stava evolvendo in direzioni non più adatte ai coloratissimi folletti deperiani.
I principali committenti di Depero divengono quindi corporazioni, segreterie di partito, grandi alberghi, amministrazioni pubbliche, industrie locali. Le opere richieste sono eminentemente didascaliche, propagandistiche, decorative.
Verso la seconda metà degli anni trenta, a causa dell'austerità dovuta alla politica autarchica, viene coinvolto nel rilancio del Buxus, un materiale economico a base di cellulosa atto a sostituire il legno delle impiallacciature, brevettato e prodotto dalle Cartiere Bosso. Grazie a questo lavoro riesce a ritrovare la propria vena creativa, realizzando tutta una serie di oggetti con tale materiale.
Nel 1940 pubblica la sua "Autobiografia". Nel 1942 realizza un grande mosaico per l'E42 di Roma, mentre nel 1943 con "A Passo Romano", cerca di dimostrare il suo allineamento sostanziale con la parte più dinamica del Fascismo anche per ottenerne lavori e commesse. Poi, con l'inizio dei bombardamenti aerei sulle città, si ritira nel suo eremo montano, a Serrada di Folgaria, cessando definitivamente l'esperienza della Casa d'arte futurista di Rovereto.
Finita la guerra, nel tentativo di giustificarsi di fronte al nuovo ordine dello stato italiano per quel libro apertamente fascista, afferma che loro, i Futuristi, credevano fermamente che il Fascismo avrebbe concretizzato il trionfo del Futurismo, e che, lui, aveva anche «bisogno di mangiare».
Nel 1947, in parte sponsorizzato dalle Cartiere Bosso, ritenta la carta dell'America, ma la trova ostile al Futurismo perché ritenuto l’arte del Fascismo.
Nel 1949 torna quindi in Italia e, sebbene disilluso e ormai sessantenne, non è intenzionato a fermarsi: partecipa prima ad una mostra a Milano e poi ad una a Venezia.
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