lunedì 29 marzo 2010
domenica 21 marzo 2010
I Dossier di Gualtiero Gualdi
BRUNO BOZZETTO
Disegno animato e fumetto si mordono la coda: è cosa piuttosto nota.
I più conosciuti « primi eroi » delle strisce disegnate (americane) si sono spesso baloccati altalenandosi dal movimento fluido dentro lo schermo alle azioni « ferme » vissute sulle pagine dei giornali.
Da Mickey-Topolino a Popeye Braccio di Ferro: un discreto esercito!
Vi sono state le eccezioni, naturalmente.
Eccezioni che comunque confermano una realtà le cui ramificazioni sembrano spingersi oggi fin dentro i nostri confini.
Più di un classico personaggio di ieri, infatti (e si può citare per tutti il Bonaventura di Sergio Tofano) certamente dotato di un humus, di una carica vitale che avrebbe trovato nuovo e più ampio spazio d'azione nel cinema, ha avuto il torto di nascere in Italia; in un paese cioè che ha rivolto sempre saltuaria attenzione al disegno animato. Uno status questo che sembra aver perduto finalmente la sua stagnante immobilità.
E non si allude tanto al fatto che i personaggi del « cartoon » di Bruno Bozzetto West and Soda stanno da alcuni mesi vivendo una seconda esistenza in una serie di « strips » disegnate, bensí proprio alla sostanza grafica dei film d'animazione del giovanissimo « catoonist » italiano che ad un certo momento (il duello alla pistola tra Johnny e il Cattivissimo che dalla prateria continua dentro le acque del fiume) ha chiesto sostegno alle regole grafiche dell'onomatopea fumettistica per risolvere il rumore degli spari: i« bang » cioè appaiono scritti dentro la classica nuvoletta.
Nato a Milano nel 1938, Bruno Bozzetto visse a Bergamo (dove suo padre ha un'industria chimica) fino all'undicesimo anno di età.
Tornò quindi nella capitale lombarda do¬ve il suo nome cominciò a acquistare qualche notorietà mentre frequentava al Beccaria le medie superiori: era il disegnatore ufficiale del giornale studentesco dell'Istituto, e Bozzetto incolpa ancora oggi le sue caricature del mondo degli insegnanti di certi voti non brillanti ottenuti allora.
Non ha avuto opposizioni alla scelta di quella ch'è la sua attuale attività artistico-industriale. Aveva diciotto anni quando, tutto solo, con una cinepresa 16 mm. montata su di un tavolo da stiro, realizzò il suo primo breve cartoon: Tapum!
La storia delle armi, che ottenne ampio credito a Cannes. Ciò lo decise più tardi, quando già s'era iscritto alla facoltà di giurisprudenza dell'Università milanese, dì abbandonare lo studio e a dedicarsi esclusivamente al lavoro per il quale - lo abbiamo visto - era predestinato.
Dice scherzando: « Partii con molto entusiasmo, poca conoscenza teorica in quanto fatta sulle scarse pubblicazioni relative a questo argomento, e un'infinita incoscienza».
Fu invece consapevole fin dall'inizio della vita grama ch'era costretto a condurre in Italia il disegno animato commerciale. Perciò affiancò alla produzione spettacolare dei cartoons, nel 1961, l'attività pubblicitaria, aggiungendo a quelli di altri colleghi i numerosi suoi personaggi-marchio, simbolo umo-ristico della civiltà del benessere. V'è anzi da aggiungere che lo sfrut-tamento pubblicitario del disegno animato, anziché umiliarne le caratteristiche, favorí in Bozzetto e negli altri cartoonists italiani l'esplodere di idee che finalmente servirono a sganciarlo dalla suddi¬tanza al grafismo tradizionale, al modulo imposto dai cartoons di Disney, i soli (o quasi) che riesco¬no a dettar legge nel circuito italiano delle sale cinematografiche.
Sarà proprio in luce di questa nuo¬va consapevolezza (e della maturità via via acquisita) che più tardi deciderà di cimentarsi, col gruppo di giovanissimi artisti, animatori e tecnici che lo affiancano nel suo studio di via Melchiorre Gioia, nel¬la realizzazione di un lungometraggio. Vi arriverà comunque per gra¬di. Anche se piuttosto rapidi.
Già il suo secondo disegno animato è infatti nel 1959 di livello professionale.
Lo realizzò in 35 mm in síeme a John Halas, l'animatore ungherese che dal 1940 lavora a Londra insieme alla moglie Joy Batchelor, titolari insieme di una fortunatissima ditta (realizzarono tra l'altro nel '55 un lungometraggio dal romanzo utopistico di George Orwell Animal Farm). Si intitolò La storia delle invenzioni, ma l'accoppiamento, se diede ottimi risultati sul piano tecnico, smorzò la fantasia di Bozzetto che bolliva in-vece dal desiderio di esperienze nuove, rivolta tematicamente all'analisi burlesca del comportamento umano.
Esemplare rimane a questo proposito Alpha Omega, un breve cartoon del 1961 imperniato, con un disegno filiforme, semplicissimo, su di un solo personaggio situato su un fondale neutro. L'uomo cioè che non sa resistere alle nefaste tentazioni, ai vizi, e tira le cuoia dopo inutili tentativi di portarsi sulla strada di una saggia sobrietà. Egualmente valido come invenzione grafica fu l'anno seguente I due castelli.
Raccontava una guerra appunto tra due antichi manieri nello stile (è solo il pretesto per un aggancio mnemonico) delle vignette di James Thurber.
A un'ilarità più corposa, mediterranea, appartengono invece i tre shorts (ne è prevista comunque un'intera seria) con protagonista il « Signor Rossi »: Un Oscar per il Signor Rossi, II Signor Rossi va a sciare, II Signor Rossi al mare.
L'intrepido e sempre inguaiato esemplare di mezza età della fauna umana, con tutti i tic che contraddistinguono l'uomo d'oggi. Si coglie da questi e dai precedenti film di Bruno Bozzetto una predisposizione costante alla caricatura mai fine a se stessa; alla demitizzazione, sempre con un velo di candore che riporta alla mente lo « angelismo » di Jean Effel (con la sua versione grafica della Genesi), di valori fasulli. Atteggiamento ancora più scoperto Bozzetto assumerà in West and Soda, dove i simboli obbediscono a un furbo gioco d'intesa fra schermo e pubblico. Strizzatine d'occhio sorrette da un gusto formale veramente notevole, per il quale egli ha avuto una va¬lida collaborazione nello scenogra-fo Giovanni Mulazzani.
Quasi per paradossale rimbalzo dal clima in cui vive coi suoi collaboratori nel proprio Studio milanese, Bozzetto colleziona episodi realmente accaduti che potrebbero essere portati di peso nei suoi film disegnati. Un giorno ad esempio si trovò tra i piedi, piovuto chissà da dove, un grosso cane S. Bernardo: gironzolava per le stanze e fini in saletta di proiezione mentre si provava l'animazione proprio di Socrate, il bastardo alcoolizzato di West and Soda. Se ne andò come era venuto, insalutato ospite.
Ora Bruno Bozzetto sta pensando al suo secondo lungometraggio a soggetto.
È una nuova sfida all'impopolarità di cui godrebbe il cartone animato non disneyano in Italia (in effetti West and Soda è venuto a distanza di quasi vent'anni dai « cartoons » di Pagot e Domeneghini, cioè da I fratelli Dinamite e La rosa di Bagdad).
Si rivolgerà umoristicamente ancora ad alcuni miti solidificatisi nella nostra società tramite il cinema, la pub¬blicità, la narrativa fantascientifica e il fumetto: da quest'ultimo sem¬bra voler prendere (rovesciandone i significati e quindi le dimensioni) il Superman di Siegel e Shuster.
Piero Zanotto
venerdì 19 marzo 2010
giovedì 18 marzo 2010
Nati entrambi ad Udine, Carlo nel 1907 e Vittorio nel 1911, i due Cossio si trasferirono giovanissimi a Milano. Lavoravano come decoratori, e l'interesse per il disegno la grafica venne solo in un secondo tempo.
« Intorno al '28 - spiega Vittorio Cossio - mio fratello, che era anche pittore, conobbe Bruno Munari, il quale a quell'epoca si occupava di cartoni animati pubblicitari. Insieme all'operatore Torelli comincio ad interessarsi anche lui di animazione, ed io naturalmente lo seguii per la nuova strada. In quegli anni le tecniche del cartone animato erano poco conosciute qui in Italia.
Ricordo che vedendo i primi film di Disney non riuscivamo a capire come si potessero ottenere dei movimenti così sciolti su sfondi perfettamente fissi e uniformi. Scoprimmo poi la tecnica del disegno sul traspa-rente, che fummo i primi ad appli-care in Italia.
Si era intorno al '30, ed il mercato per questo genere di lavori era tut-t'altro che abbondante. Fu appunto in un momento di stasi che ci venne l'idea di collaborare con disegni ai giornali per ragazzi: allora ci sembrava una soluzione di ripiego.
Le prime illustrazioni apparvero su Rin Tin Tin e Primarosa dell'editore Vecchi, nel '33. Verso il '35 io iniziai a collaborare al « Corriere dei Piccoli».
Vi disegnai avventure indipendenti e diversi personaggi fissi: II Balilla Venturino e, verso il '39, Centaurino e Teodato; poi nel '37-'39 due serie drammatiche, II Nlbblo delle Baleari e L'Eroe di Vlllahermosa, sulla guerra di Spagna.
I testi erano di Giuseppe Brancolini, che si firmava Giubra ».
II nome Cossio é senz'altro legato ad un numero incredibile di personaggi. Ma il più famoso, ai suoi tempi, fu certamente Dick Fulmine.
Come nacque?
«L'Audace» aveva bisogno di un personaggio nuovo, e mio fratello Carlo, d'accordo con il direttore editoriale della Vecchi, Nino della Casa, ideo Dick Fulmine, che ap-pena uscito ebbe subito molto successo. Anch'io, nel gennaio del '40, creai una nuova serie, Turbine, l'Asso Pilota. La rivista pero traballava, e dopo vari cambiamenti di editore, la testata venne ceduta allo scrittore Bonelli. Nino della
Casa, che con mio fratello era proprietario di Fulmine, ne uscì e fondo I'« Albo Giornale », sul quale fece proseguire le sue avventure, modificate secondo le disposizioni del Ministero della Cultura: via i fumetti, fisionomia più all'italiana, storie di guerra, eccetera ~. «Carlo era infaticabile, e quando Bonelli, nel novembre del '40, rimise in vendita il giornale, ideo per lui un'altra serie, X-1 II Pugile Mi-sterioso, cioè il celebre Furio.
Pero, come potrete immaginare, era sommerso dal lavoro.
Collaborava anche a "L'Intrepido" di Del Duca con La Freccia d'Argento e vari "Albi". Così, nel febbraio del '41, mi passo Furio, che portai avanti per più di un anno. Dal '39 anch'io lavoravo per Del Duca, con Povera Mamma, una storia lacrimosa e strappacuore, oltre ai soliti "Albi"; ma trovai il tempo, dal luglio del '41, di disegnare altri due personaggi per "L'Audace": L'Inafferrabile e Orlando l'Invincibile.
Anzi, sempre nello stesso anno, Vecchi fece uscire nella Francia ocupata un albo "Gavroche", per il quale feci Le Bolide Fantome.
di cartoni animati vi siete più interessati?
« Vede, l'animazione era sempre il nostro "primo amore", ed ogni volta che ci son capitate delle offerte non abbiamo esitato ad accantonare il lavoro per i giornali.
• Prima della guerra, su richiesta dell'ingegner Gualtierotti facemmo due film per sperimentare il suo nuovo sistema di ripresa a colori. Realizzammo La Macchina del Tempo di Wells e La Secchia Ra-pita. Dal punto di vista spettacolare erano perfetti perché il sistema stereoscopico dell'ingegnere dava vita a colori stupendi, ma commercialmente non ebbero se¬guito, dato che la pellicola da im¬piegare doveva avere un passo doppio di quelle normali, e per mettere i film in circuito si sareb¬bero dovute sostituire tutte le macchine da proiezione esistenti in Italia.
• Un'altra occasione l'avemmo nel '42, quando un amico, il professor Giobbe, ci chiamò a Roma per realizzare nel suo stabilimento alcuni cartoni in Agfacolor su Pulcinella. Nel '42, a marzo mi pare, dopo che Carlo fu richiamato alle armi, accadde il disastro. Lo studio di Giobbe, nel quale era custodito tutto il materiale, due film completi ed altri in lavorazione, venne distrutto da un incendio.
• Quell'incidente mi fece trovare in una situazione difficile.
Dovevo arrangiarmi come potevo: ero un po' cartellonista, disegnavo diapositive, ed altro. Inoltre mi ero sposato, e dovevo tirare avanti con la famiglia. All'arrivo degli Alleati, fra i primi giornali a fumetti che ebbero l'autorizzazione ad uscire, vi furono "Giramondo" e "l'Avventura" di Capriotti. Mi presentai al¬l'editore ed ottenni subito lavoro. Dopo alcune illustrazioni senza importanza "ereditai" le storie La Nave del Mistero e II Distruttore di Mostri. Poi mi fecero esaminare i testi di Alberto Guerri, sui quali creai Ra Pugno d'Acciaio, che uscì sul numero 15 di "Giramondo", nel novembre del '44.
L'anno dopo, quando Capriotti fece uscire il giornale umoristico "L'Ometto Pic", che prendeva il nome dal personaggio di Zedda, io vi disegnai il fumetto Tim, Tom e Tam ».
Disegnando Raft, che é certamente il suo personaggio più famoso, aveva presente Gordon?
« Quando mio fratello portò a casa i primi numeri dei I' "Avventuroso", ammirammo insieme le tavole di Raymond, che ho sempre considerato uno dei più grandi maestri del fumetto. Parte di quell'ammirazione rimase certamente sedimentata nel mio animo, ma mentre disegnavo Raff non avevo in casa nemmeno una tavola di Gordon. D'altra parte, il personaggio mi si confaceva, perché ho sempre prediletto il genere avventuroso fiabesco mitologico. Se c'è stata un'ispirazione all'eroe di Raymond, essa è rimasta a livello inconscio.
• Nel '45 a Roma disegnavo ancora Raff, quando l'editore Del Duca mi chiese di continuare per il nuovo "Intrepido" le serie Capitan Sparviero e Cuore Garibaldino. Iniziai il lavoro nella capitale, ma poi, nel '46, decisi di raggiungere mio fratello che da tempo si era trasferito a Milano.
Lì trovai tanto lavoro che dovetti abbandonare Raff. Il personaggio fu ripreso da un mio allievo: Orlando Grassetti.
« A Milano, Carlo aveva ideato per l'editore Tomasina un altro albo di successo, Tank, un superuomo al-l'americana. La pubblicazione presto ne generò altre due, Mlrko e Franca. Mio fratello, quando lo ebbi raggiunto, mi chiese di continuare una di queste serie, perché era ve¬ramente troppo oberato di lavoro ».
E' vera la leggenda secondo cui disegnavate un albo al giorno?
• Più che per me, questa osserva¬zione vale per Carlo. E' vero che anch'io, quando iniziavo a collaborare ad un giornale, mi allargavo a macchia d'olio, per cui do¬po un poco finivo per fare quasi tutto ciò che si stampava: ma Carlo riusciva a mantenere un ritmo asso¬lutamente incredibile. Una vera macchina. Ogni settimana arrivava a disegnare fino a tre o quattro albi completi, e poi tavole per storie a puntate, illustrazioni per libri, figurine e via dicendo.
• Per disegnare i fumetti usava una tecnica curiosissima. Prima di scegliere la posizione precisa di un personaggio nella vignetta ne tracciava a matita, sovrapponendoli, tutti i possibili atteggiamenti. Così si vedeva un uomo con due o tre teste, e tre o quattro paia di brac¬cia e di gambe. Poi inchiostrava solo la posizione più adatta, e cancellava il resto.
« Tornando, al discorso di prima, fra gli albi che Carlo mi aveva offerto scelsi Mirko, ma non lo dise¬gnai a Milano. Dovetti tornarmene a Roma, per pura e semplice no-stalgia. Da lì portai avanti il personaggio, il cui primo albo uscì nel maggio del 47, per trenta numeri.
• Poi nel '50 il mio lavoro ebbe un calo, quando l'editore Del Duca concluse Cuore Garibaldino e Capitan Sparviero. Ma presto si aggiunsero altre attività: nel '51 una " Storia dell'America " a puntate, diretta da Guasta, Dragosci e Guerri, e il lavoro per " Vera Vita ", un giornale cattolico a cui collabo¬ro tuttora, anche se saltuariamente. Iniziai nel novembre, con L'Antro nella Foresta.
- Carlo era rimasto a Milano, e vi restò sino alla fine: non l'ho rivisto che poche volte. Morì nel '64. Nel '50 aveva disegnato Buffalo Bili, che continuò sin quando l'editore dell' "Intrepido" lo sostituì con Ugolini per rinnovare grafica-mente il personaggio. Collaborava agli "Albi dell'Intrepido", al "Vitt¬rioso": come al solito, era pieno di lavoro.
• Un incremento alla mia attività venne nel '55-'56 da una ditta milanese, che mi chiese di lavorare per dei fumetti da esportare.
Per loro disegna i Dick Daring, le avventure di una Giubba Rossa. Continuai sino al '60, quando si fevero vivi di nuovo i cartoni animati. Questa volta si trattava di un nuovo sistema detto " Scenoplastic ", che abbinava disegni e pupazzi animati. Per la INCOM io e mia moglie realizzammo un film sperimentale ispirato alla favola di Andersen L'Acciarino Magico. Purtroppo, nonostante il sistema fosse una novità, una specie di uovo di Colombo, il progetto venne insabbiato. Ne derivò una certa crisi. Oggi quindi, benché disegni an-cora per l'Italia e per l'Inghilterra, la mia attività è assai diminuita rispetto a quella di un tempo: la salute, del resto, non mi permetterebbe di far di più.
« Comunque, pare che la nostra sia una famiglia di disegnatori: anche l'altro mio fratello, Gino, disegna, e la mia seconda figlia, Claudia, si è lanciata su questa via ed ha già pubblicato alcuni albi. Spero qiundi che anche in futuro il nome Cossio continuerà ad avere un posto nel fumetto italiano ».
lunedì 15 marzo 2010
Puntinissima si rifa...
Prima parte
Per chi negli anni 30/40 poteva ancora giocare nelle strade di città o nei paesi, o nei « Giardini Pubblici », le figurine rappresentavano una merce-gioco, come le palline di terra, o, a volte, le monetine da cinque o dieci centesimi.
La funzione della figurina era allora triplice: 1) l'illustrazione, cioè i vari Mollo, Olmi, Caligaris, Saponaro, Leoni, sempre in primo piano perché i campi lunghi erano snobbati,
2) il peso-carta-figurina. Ce n'erano di quelle che «volavano basso » e di quelle che non mantenevano la traiettoria,
3) il collezionismo, fatto semplicemente di mazzette con l'elastico.
Un senso di ricchezza.
A casa alla sera si sparpagliavano sul tavolo, si guardavano o si inventavano nuovi giochi. Si esaminava con tristezza la figurina sciupata, per « le battaglie » sostenute durante il giorno, o perché scambiata con una doppia nuova.
Le battaglie giornaliere si scatenavano sempre davanti a un muretto.
A Milano era di gran voga la « Pitta ». Un bambino lanciava con l'indice e il medio la figurina contro un muro. II secondo faceva lo stesso cercando di coprire la figurina, il terzo idem e così via. Ogni figurina coperta era catturata. Naturalmente era avvantaggiato chi tirava per ultimo, per cui le grida più frequenti erano « ùltim » o ùltim, cassa da mort in puiver », o, dalla voce del bambino arrivato fresco fresco da Torino « Ùltim, stragaba ùltim, bùn per mi ».
Una delle leggi inderogabili era il « Puntintssima si rifa », quando due figurine si toccavano appena d'angolo ed era troppo difficile stabilire quale delle due coprisse l'altra.
Alla sera quando suonava la chiusura dei giardini o le rondini gridavano nelle piazze dei paesi ai tramonto, ognuno tornava con le proprie mazzette, e se erano troppo assottigliate progettava immediatamente di acquistarne di nuove alla mattina dal cartolaio davanti alla scuola.
Ma mentre noi giocavamo a« muretto », i grandi giocavano con le figurine avere ». Era il periodo del Feroce Saladino e del concorso Perugina.
Dal gioco, povero, delle figurine in sé, all'orgia del concorso, al collezionismo puro.
Allora tutti in caccia del dono, del premio, delle tazzine rosse da caffè o, per 150 serie complete, della Fiat; oggi la collezione fine a se stessa per il piacere di guardare la figurina, di avere l'album, di incollare, di completare o non completare per cominciare una nuova collezione.
Da Liebig ai 4 Moschettieri a Topolino, a Panini.
A parte, quindi, la figurina come gioco, come illustrazione e carta da usare «sparpagliata», il «lancio» vero e proprio come collezione iniziò quando nel 1872 Justus von Liebig, fondatore della società che porta il suo nome, ebbe l'idea di promuovere la vendita dell'estratto di carne con delle figurine che veni¬vano date in omaggio a chi comprava un certo quantitativo di prodotti.
Ogni serie di figurine Liebig era, ed è tuttora, composta di sei soggetti illustranti un determinato argomento.
Un tempo erano un modello di raffinatezza, per soggetto, disegno, stampa, e utili testi illustrativi al retro di ogni figurina. Oggi le idee delle serie e l'esecuzione grafica sono molto scadute.
Peccato, perché una compagnia come la Liebig potrebbe utilizzare i migliori artisti di tutto il mondo per rilanciare un'idea ottima sia sul piano artistico che su quello commerciale. Comunque le poche collezioni complete, se ne esistono, hanno oggi un valore enorme, mèntre alcuni eccezionali specialisti si battono tuttora nell'esegesi di tali figurine e nella compilazione o revisione o correzione periodica di cataloghi.
In seguito, negli anni trenta, la Perugina ottenne un grande successo di vendita inserendo nelle confezioni dei propri prodotti figurine di valore differenziato creando un mercato di « rarissime ». Contemporaneamente alle trasmissioni radiofoniche dei « Quattro moschetteri », musicate dal maestro Storaci e con i testi di Nizza e Morbelli, il lancio delle figurine Perugina diventò un fatto nazionale.
Le figurine Perugina dettero luogo a un mercato non certo di « muretto» ma a livello di industriali.
Erano state disegnate da Bioletto, che contribuì non poco al successo dell'iniziativa. Bioletto fu fra l'altro il grande collaboratore del Guerin Sportivo, ai tempi di Colombo. Le sue interpretazioni grafiche dei giocatori e delle squadre, viste come « il Diavolo », il « Biscione », la « Leonessa », coincisero con gli anni d'oro del Guerino (prima dell'avvento di Brera).
Come Silva disegnava le azioni di Boffi sul « Calcio Illustrato », Bioletto commentava quelli che potevano essere allora gli articoli di Brera. O Brera avrebbe preferito Silva? Non so.
II successo comunque fu di Bioletto Perugina insieme ed è un peccato che oggi Bioletto, ancora attivissimo e pieno di idee, non ci dia più i disegni, o le figurine, da giocare o da guardare.
Poi ci fu Mondadori-Elah con le figurine di Topolino, un'orgia a colori per i ragazzi, finalmente destinatari diretti delle figurine non da gioco ma da collezone. I grandi avevano un po' ceduto. Ci scatenavamo noi, sulla scia dell'amore per Walt Disney e per i fumetti.
Chi non ricorda la gioia deil'« Albo d'oro •contenente una Figurina premio
Topolino?
Era lì, pronta da staccare, tutta a colori, e da incollare sull'album.
Ma certe volte mancava.
Rubata, intercettata, distrutta, scambiata.
E uno non aveva l'età per scrivere, chiederne altre. chiedere l'album, il numero soeciale dove c'era quella figurina.
Quando la si aveva era una gioia. era oro.
E non si giocavano mai a « Pitta ». Troppo preziose. Si continuava a qincare con auelie di Olmo, Leoni. Guerra. Piola e Binda. Quelle della cartoleria.
La raccolta delle figurine, da incollare nell'album secondo il bum attuale, pare derivi da un'iniziativa dell'editore spagnolo Fehr, di Bilbao. Durante gli anni quaranta diverse case editrici spagnole si occuparono della produzione di figurine, generalmente dedicate ad argomenti didattici, quali la fauna, la flora, i cristi, i pericoli, ecc. Sul finire degli anni 40, un editore spagnolo.
La Fuente, venne in Italia per stampare da noi, in riedizione, le proprie figurine.
Essendo sopravvenute difficoltà, soprattutto di ordine valutario, egli rinunciò a realizzare in proprio le raccolte: stabilì tuttavia un accordo con un intraprendente esponente dell'editoria popolare a dispense, Lotario Vecchi, il quale realizzò nel nostro Paese - con alcuni idonei adattamenti - le prime collezioni di figurine, che raccolsero immediato successo.
Per almeno un decennio la Casa Editrice Lampo, in cui il Vecchi si era associato ad un giornalista sportivo ora defunto (Vincenzo Baggioli), mantenne una posizione egemonica in Italia, specie nella produzione di figurine didattiche e sportive.
Tale predominio non impedì che un po' dappertutto sorgessero nuove aziende, prevalentemente di carattere artigianale, che tentavano la fortuna nel campo delle collezioni di figurine, oppure realizzavano contin¬genti di figurine da inserire - a titolo di propaganda - in prodotti di largo uso fra i bimbi, specie caramelle ed altri dolciumi. Frattanto, seppure con diverse modifiche connesse agli usi locali, le « figurine » andavano diffondendosi in tutta Europa. Particolarmente ap¬prezzato ne fu sempre il valore didattico, talché ad esempio in Svezia il Ministero della Pubblica Istruzione dispose, una quindicina d'anni or sono, che i bimbi delle scuole primarie, insieme con altro materiale gratuito, ricevessero una dotazione di figurine.
Nel 1961 a Modena un distributore di giornali, Giuseppe Panini, allora trentacinquenne, intraprese a sua volta la realizzazione di una serie di figurine da riunirsi in album, avente come soggetto il campionato di calcio 1961-62.
La collezione, comprendeva, per ciascuna delle 18 squadre partecipanti al campionato di serie A, uno scudetto, una squadra completa e 15 figurine di singoli calciatori. In totale dunque, 17 figurine per squadra, cioè 306 figurine, da raccogliersi su un album che veniva posto in vendita a 30 lire. Ogni bustina contenente 4 figurine, veniva venduta a dieci lire. Il tentativo ebbe all'ini¬zio un buon successo, talché fu confermato e completato negli anni successivi.
Forse appunto per la sua origine del tutto familiare, le « Edizioni Pa¬nini » raggiunsero nel giro di pochi anni un grande incremento, tale da indurre i promotori a migliorare di molto il contenuto delle collezioni di figurine calcistiche, sotto i diversi punti di vista tecnico, grafico e redazionale.
Furono poi realizzate non solo le collezioni calcistiche, ma anche altre collezioni sportive, ed esemplari raccolte dedicate a temi didattici. L'esperienza delle «figurine» ha insegnato che, se è vero che i ragazzi non hanno il senso del risparmio e sono disposti ad acquistare ciò che colpisce la loro fantasia, d'altro canto possono vanta-re un'istintiva capacità di giudizio discriminativo, cosicché diventano presto competenti nella scelta e nell'acquisto.
In pratica, il ragazzo può essere vittima della « pubblicità occulta» una volta sola: fatta la sua esperienza, decide con incredibile fermezza il prodotto veramente rispondente alle sue esi¬genze, e a tale prodotto dedica per l'avvenire la sua attenzione.
Chiede però d'avere con il proprio editore di figurine un rapporto di parità: non vuole imposizioni, pretende raccolte divertenti, convenienti e ben fatte. La capacità di sintesi del bambino, insomma, è tale da conferirgli una possibilità di valido giudizio che molto spesso gli adulti non tengono in conto. E' ovvio che egli preferisce le raccolte divertenti, cioè quelle che non impongono un vero e proprio obbligo di studio: tuttavia, quando realizzate in modo da colpire la sua fantasia prima e la sua attenzione dopo, anche le collezioni didattiche possono conseguire un buon suc¬cesso, sempreché siano realizzate secondo uno schema sufficientemiente attraente, tale insomma da compensare il tempo e il denaro che il ragazzo sa di dover impegnare per completare la collezione.
Ragazzo o adulto. Dipende dal soggetto delle figurine. Noi adulti tor¬niamo ad essere collezionisti se la carta è«quella», se il soggetto è » quello ». Disposti tuttora a giocarcele « a quaté », oppure a incollarle, scambiarle, a completare la serie o l'album, giocando con la colla, e con la coscienza che un a-bum di figurine finito è una cosa. E non si ripete più. Caso mai, con quelle che avanzano « Puntinissi¬ ma, si rifa ».
g.f.
Ringraziamo per le notizie forniteci la Ditta Panini di Modena, la Ditta Buitoni di Perugia e la Compagnia Italiana Liebig. E inoltre un signore gentilissimo, uno dei maggiori collezionisti di Milano, che ci ha fornito le sei figurine Liebig
domenica 14 marzo 2010
Viaggiatori
nota a margine:
Il Pappagallo
La bestia ha le piume di tanti colori
che al sole rilucon cangiando.
Su quella finestra egli sta da cent’anni
guardando passare la gente.
Non parla e non canta.
La gente passando si ferma a guardarlo,
si ferma parlando fischiando e cantando,
ei guarda tacendo.
Lo chiama la gente,
ei guarda tacendo.
Aldo Palazzeschi
sabato 13 marzo 2010
Agapornis Swindernianus
Dello Swindernianus sono riconosciute due razze geografiche:
1. Agapornis Swindernianus s., che ha per habitat la Libería ed è noto come Agapornis a collare nero di Swindern;
2. Agapornis swindernianus zenkeri, che abita il Camerum e le zone ccntrali dell'ex Congo belga, noto come Agapornis a collare nero di Zenker.
Una terza razzaI'Emini proposta dal Peters, trovata nell'Ituri e nel Semiliki fu nel 1939 respinta dal Chapin.
Dati somatici
Swindernianus:
sessi uguali, taglia cm 13,50, iride gialla, beoco nero corno, piedi grigi scuri;
corpo: verde sporco più chiaro sulle guance e nelle parti inferiori; gola giallastra;
collare: all'altezza delle spalle uno stretto collare nerO marginato, verso il dorso, da una fascia giallo
cromo che sfuma nel verde;
groppone: parte bassa del g~roppone, e copritrici superiori della coda, blu btillante;
ali: penne primarie scure e verdi i vessilli esterni; copritrici primarie nere e verdi le copritrici interne;
coda: penne centrali verdi, talvolta con una macchiolina rosso arancio; penne laterali rosse alla base
con barra nera e punte verdi.
Giovani: hanno colori più confusi, meno briHanti e sono privi di collare; hanno anche il becco più pallido.
Zenkeri: è leggermente più grande dello Swinderniana, ha la fascia sotto il collare rosso arancio anziché
giallo cromo ed il verde del corpo più brillante.
Lo Swinderniana è il solo Agapornis con becco nero e senza alcuna decorazione dell'occhio (anello nudo o piumato). Il colore blu del groppone e della coda è il più brillante delI'intero genere mentre la coda è tanto corta che le ali, chiuse e raccolte sul groppone, ne raggiungono la punta.
Il nome scientifico gli deriva dal dr. Swinderen, svedese, il cui nome è stato evidentemente storpiato dalla prima pubblicazione scientifica sull'uccello ed è poi rimasto tale.
Nessuna esperienza sulla sua vita in cattività
Nessun amatore ha mai visto e posseduto vivo questo Agapornis, di cui si può parlare solo dal nunto di vistaornitologico e per i futuri ornicoltori che, per essere più fortunati degli attuali, devono risolvere problemi di ambientamento ritenuti estremamente difficili e problematici.
Entrambe le razze vivono in foreste sempreverdi folte ed inaccessibili, della Liberia, Congo e Camerum senza alcuna possibilità di vita comune e di contatti, pur avendo sviluppato molti costumi di vita similari, in particolate
per l'alimentazione prediligendo, entrambe, i fichi selvatici ohe sembrano indispensabili alla loro sopravvivenza.
Collezionisti che hanno avuto a che fare con questo Agapornis riportano d'aver rinvenuto nel suo stomaco sementi di fico e rimanenze di insetti e larve che devono considerarsi alimenti molto specializzati, non rinvenibili fuori del loro ambiente e non accessibili all'amatore europeo. Ma è anche interessante sapere che nel distretto di Ituti è opinione diffusa che il pappagallino predilige i campi di riso, i semi di sesamo ed è stato visto mentre si cibava di pannocchie di mals allo stato lattiginoso.
E.N.T. Vane riporta nel suo libro il passo di una nota apparsa nell'Ibis del 1948, di Certo R.E. Moreau, relative alle confidenze fatte da Padre Hutsebout, che operava in una missione del Congo, a Mr. J.M. Vrydagh sulle sue esperienze col Swinderniana. Egli ammetteva che non gli era mai riuscito di mantenere in cattività questo pappagalletto che per il tempo in cui poteva offrirgli dei fichi selvatici di cui si cibava in libertà.
Egli aveva anche tentato di mescolare a questi fichi un piccolo miglio locale (leusine) per abituarlo a questo alimento ma senza successo infatti non toccava i semi di alcuna graminacea, mentre becca le noci di palma ed altre noci, ma senza fichi muore nello spazio di 3-4 giorni.
Lo Swinderniana non mangia tuttavia i fichi alla maniera degli altri frugivori ma pela e spacca il frutto per beccarsi rapidamente i piccoli semi dell' interno. Quindi non è un frugivoro ma un granivoro, sia pure speciale che non riusciremo mai a portare fuori dalle sue fitte foreste sempreverdi, dove i fichi che predilige
sono disponibili tutto l'anno, a meno di non riuscire a sostituirli con alimenti altrettanto graditi e nutrizialmente validi come pare siano quelli che preferisce in natura.
Nessuna notizia sulle abitudini riroduttive
Allo stato libero lo Swinderniana s'incontra, anche lontano dalle sorgenti d'acqua, in gruppetti da 5 a 12 soggetti
Ha un breve ed aspro richiamo che emette anche in volo o quando devasta gli alberi di fico. Non si conoscono le sue abitudini di nidificazione, che avvengono nell'interno della foresta, né le fasi di sviluppo dei piccoli
e la loro alimentazione, si sa soltanto che i novelli non mutati hanno colori e collare meno distinti ed intensi degli adulti, ossia poco o nulla come guida per gli ornicoltori che avessero la fortuna d'imbattersi in questo
misterioso Agapornis.
si viaggiare...
Il viaggio è una specie di porta attraverso la quale si esce dalla realtà come per penetrare in una realtà inesplorata che sembra un sogno." Guy De Maupassant (1850-1893),
Iscriviti a:
Post (Atom)